I giochi dei bambini di oggi sono diversi dai giochi che praticavamo noi da bambini: sono diminuiti i giochi all’aria aperta e aumentati quelli sedentari (Cantelmi, 2016). I giochi sono diventati soprattutto individuali e i bambini, trascorrono davanti ai videogiochi, al televisore e allo smartphone la maggior parte del loro tempo libero, anche da piccolissimi. Ancor prima di iniziare l’esperienza scolastica, dunque, i bambini sono stimolati ad un alfabetismo spontaneo dai nuovi media. Secondo un sondaggio condotto negli Stati Uniti su 900 genitori, la metà dei bambini che non hanno ancora compiuto un anno guardano programmi televisivi, il 36% usa il touch-screen, il 15% utilizza le app e il 12% gioca con i videogames. Il 72% dei genitori permette ai bambini di utilizzare dispositivi, il 65% dice che serve a tranquillizzarli, il 29% ne permette l’utilizzo prima di andare a dormire (Kabali et al., 2015).
L’opinione pubblica è divisa tra chi è pro e chi contro l’utilizzo dei videogiochi da parte di bambini. I primi pongono l’accento sulle possibilità di sviluppo delle capacità percettive e senso-motorie, sostenendo come i videogiochi faciliterebbero l’approccio alla cultura e al pensiero tecnologico e rinforzerebbero diverse funzioni cognitive (memoria, capacità di pensiero induttivo, processo cognitivo, la capacità di calcolo e di formulazione di strategie vincenti). Chi, invece, oppone all’utilizzo precoce di materiale videoludico si appella ai rischi legati all’utilizzo eccessivo o scorretto, soprattutto da parte dei bambini: dall’adesione acritica a sistemi di significato organizzati da altre persone (adulte) all’incapacità di entrare in contatto con i propri vissuti emotivi, dall’estraniamento dalla realtà alla mancanza di empatia, dall’epilessia fotosensibile alla dipendenza, dalla sedentarietà al soprappeso e ai disturbi alla vista e del sonno (Nathanson et all, 2014). Più discussi ancora i rischi legati ai contenuti violenti o cosiddetti “moralmente deplorevoli” di alcuni videogiochi. (Carnagey et al, 2007).
Sulla scorta di queste premesse, non va sottovalutato il rischio che i video giochi possano creare dipendenza: durante il gioco con i videogames si verifica un significativo incremento della produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che, oltre ad essere coinvolto nell’apprendimento e nel consolidamento mnemonico delle nuove informazioni, è correlato anche con il consolidamento di comportamenti aggressivi, legato al piacere ed alla ricerca di nuove ed intense emozioni. (Cantelmi, 2006).
Il bambino è normalmente in condizioni di inferiorità nelle conoscenze e nelle capacità rispetto all’adulto, ma impara rapidamente ad usare il computer, internet e i videogiochi come mezzo di comunicazione: dialoghi in chat tra sconosciuti, costruzione di un doppio virtuale in 3-D su Internet, scelta di un personaggio in un videogioco, sono i segnali del percorso che il bambino intraprende nella costruzione delle capacità di socializzazione in territori in cui non si conosce l’identità del proprio interlocutore e questo potrebbe mettere i minori in pericolo.
Come cambia il cervello esposto ad internet?
Nel 2012, gli scienziati del University College di Londra guidati da Geraint Rees, ad esempio, hanno indagato l’effetto di facebook sul cervello di 125 ragazzi particolarmente presenti e attivi sulla piattaforma introdotto da Mark Zuckeberg. Attraverso l’utilizzo di tecniche di neuroimmagine, è emerso come questi ragazzi presentassero una riduzione di materia grigia nell’amigdala, area cerebrale particolarmente associata a processi di natura emozionale. (Paolo Ferri, 2014).
I social network hanno un effetto plasmante sul nostro cervello: ricevere commenti positivi su Facebook attiva un’area del cervello, il nucleus accumbens, coinvolta proprio nei fenomeni di ricompensa (Meshi, 2013), le stesse aree che svolgono un ruolo nei meccanismi delle dipendenze da droghe.
Per quanto riguarda il nostro paese, nel 2016, è stata condotta un’indagine finalizzata ad esplorare le abitudini di utilizzo dei dispositivi digitali in bambini al di sotto dei sei anni. I dati raccolti, nel loro complesso,dimostrano che i bambini iniziano ad utilizzare tali dispositivi in età molto precoce, in proporzioni che fino a pochi anni fa erano attribuite a bambini di età ben superiore. Le informazioni raccolte rendono conto di attitudini in parte contraddittorie. Colpisce ad esempio che, nonostante molti genitori si dichiarino consapevoli di alcuni rischi per la salute psico-fisica, almeno una parte di essi ammetta di usare le tecnologie per tenere buoni i bambini già a partire dal primo anno di vita e in misura crescente in seguito.Se è vero che una rilevante percentuale di genitori appare consapevole che l’introduzione delle tecnologie in età precoce possa aumentare i rischi per la salute psico-fisica dei bambini, questa consapevolezza riguarda maggiormente i rischi per la salute mentale e la relazione piuttosto che quelli fisici legati all’immobilità prolungata che le Tecnologie digitali favoriscono. In conclusione, tali risultati mostrano la necessità di un maggior impegno da parte di tutte le persone che si occupano di infanzia, non solo in ambito sanitario ma anche educativo, per supportare i genitori con adeguate informazioni e consigli, iniziando già nei mesi successivi alla nascita, intervenendo tempestivamente per evitare i rischi potenzialmente dannosi che tali strumenti comportano.
