Buongiorno a tutti, quante volte ci siamo detti che per che rimanere in salute è necessario mangiare sano ed equilibrato, la messa in atto di ciò dipende anche dal nostro benessere psicologico. Con l’articolo di oggi andremo ad approfondire un tema particolarmente interessante, ma le cui origini sono ancora sconosciute: l’emotional eating.
Con emotional eating intendiamo la tendenza a mangiare eccessivamente in risposta allo stress e alle emozioni negative. E’ importante comprendere quali siano le cause che conducono a tale comportamento, poiché esso è associato ad un incremento eccessivo di peso e, di conseguenza, nel tempo può avere ricadute sulla salute fisica. Gli studi evidenziano che questo atteggiamento è presente fin dall’infanzia e si struttura nel tempo fino a mantenersi anche in età adulta. I ricercatori quindi si sono chiesti se ciò sia legato a caratteristiche genetiche o a fattori ambientali e relazionali, entrambi aspetti che in qualche modo sono tramandati dal contesto familiare in cui il bambino è inserito fin da neonato.
Una prima teoria che dà peso al contesto ambientale di crescita è la teoria psicosomatica (Kaplan & Kaplan, 1957) secondo cui, alla base di tale comportamento, è presente il meccanismo del condizionamento classico già nelle prime fasi di vita: i genitori che confortano i figli dalle emozioni negative attraverso il cibo conducono i figli ad associare le emozioni negative con la sensazione di fame e il consumo di cibo. Di conseguenza, essi non riescono più a distinguere la fame dalle emozioni negative, generando pattern alimentari maladattivi fin dall’infanzia.
Al fine di discriminare il ruolo delle componenti genetiche dal ruolo dei fattori ambientali che conducono allo stabilizzarsi dell’emotional eating, Herle e colleghi (2018) hanno portato avanti uno studio che ha richiesto il reclutamento di 2.402 gemelli. L’emotional eating è stato valutato tramite la somministrazione di un questionario a 16 mesi e a 5 anni.
I risultati evidenziano che i bambini che a 16 mesi mangiano in eccesso in risposta a emozioni negative, tendono a ripetere tale comportamento anche a 5 anni. Inoltre si è osservato che la stabilità dell’emotional eating tra i 16 mesi e i 5 anni è presente sia nei gemelli monozigoti, ovvero gemelli che condividono lo stesso patrimonio genetico, sia nei gemelli dizigoti, ovvero gemelli che hanno un patrimonio genetico diverso, suggerendo che i fattori ambientali condivisi dai due gemelli forniscono un contributo maggiore sulla permanenza dell’emotional eating rispetto alle caratteristiche genetiche, che comunque contribuiscono, ma in misura minore.
L’importanza dell’ambiente condiviso sull’emotional eating può essere spiegata dal fatto che il bambino eredita dai propri genitori sia i geni che il contesto ambientale in cui cresce, di conseguenza i genitori che, anche a causa della loro predisposizione genetica, tendono ad alimentarsi in eccesso in risposta allo stress, determinano un contesto ambientale e relazionale che induce il figlio ad apprendere lo stesso comportamento.
In conclusione, il fatto che l’emotional eating in infanzia sia legato non solo alla genetica, ma soprattutto al contesto ambientale, ci permette, in un’ottica di intervento e di prevenzione dell’obesità e dei disturbi del comportamento alimentare, di agire precocemente, modificando i fattori ambientali e di relazione genitore-bambino che possono favorire la permanenza dell’emotional eating, modifica che non sarebbe possibile se tale comportamento fosse dovuto esclusivamente alla predisposizione genetica.
Dunque, comprendere e gestire le emozioni negative del proprio figlio senza la mediazione del cibo, anche se non è facile, è essenziale per favorire poi lo sviluppo della sua capacità autonoma di gestire le emozioni, anche quelle più negative, senza che egli poi debba ricorrere al cibo come attenuante emotiva.
