Buongiorno a tutti! Nell’articolo di oggi parleremo della possibile influenza della televisione sullo sviluppo linguistico dei bambini, in particolare della situazione di “background television”.
Si definisce background television la presenza di una televisione accesa su programmi non specifici per l’infanzia, quindi quasi totalmente incomprensibili per i bambini che di conseguenza non vi orientano attivamente l’attenzione.
A partire dal 1999 l’American Academy of Pediatrics ha emanato raccomandazioni che invitano a non esporre a programmi televisivi bambini di età inferiore ai due anni (AAP, 1999, 2001, 2011). Da ciò, negli Stati Uniti, è nato un filone di ricerca con lo scopo di approfondire gli effetti che la televisione potrebbe avere sullo sviluppo generale dei bambini in base a diverse condizioni. Partendo dal fatto che in generale rumori di sottofondo in casa hanno effetti negativi sullo sviluppo a diversi livelli e in particolare riducono l’attenzione focalizzata del bambino e le interazioni da parte sia del bambino sia del genitore, Pempek, T. A., Kirkorian, H. L., & Anderson, D. R. (2014) dell’Università del Massachusetts hanno voluto studiare il caso particolare della background television.
Dal punto di vista teorico il linguaggio che gli adulti, ma non solo loro, rivolgono ai bambini molto piccoli viene definito matherese o child/infant-directed speech; questo tipo di linguaggio ha delle caratteristiche ben precise diffuse in molte culture e riguardano una modulazione della voce molto marcata, caratterizzata, ad esempio, da pause più lunghe del normale, una sintassi e un vocabolario semplificati, un tono di voce più elevato del normale e un contenuto di solito concreto, contingente e ridondante delle vocalizzazione del bambino. Gli enunciati di solito hanno lo scopo di chiedere o fornire informazioni, fare commenti di natura affettiva, espandere le verbalizzazioni del bambino, dare istruzioni o controllare il suo comportamento. Le caratteristiche elencate finora sono funzionali perché in linea con il livello cognitivo dell’infante.
Il modo in cui i genitori parlano ai figli non è però universale: esistono differenze e adattamenti in base a caratteristiche culturali e delle lingue stesse. Ad esempio il matherese è tendenzialmente più marcato nei paesi occidentali rispetto ai paesi africani ed orientali.
La maggior parte degli adulti, ma anche i bambini a partire dai quattro anni, usa questo tipo di linguaggio naturalmente per interagire con bambini molto piccoli, e l’infante stesso, dai primi giorni di vita orienta automaticamente la propria attenzione sulla voce umana. Questo tipo di linguaggio non veicola solo informazioni di tipo cognitivo e verbale, ma ha anche contenuti non verbali, relazionali e affettivi ed è accompagnato ed enfatizzato dai gesti.
Lo studio in questione ha coinvolto 49 bambini americani divisi in tre gruppi per età (12, 24 e 36 mesi) omogenei per genere, accompagnati ciascuno da un genitore (2 padri e 47 madri), ed è stato condotto in tre sessioni, una per ogni gruppo di età. Le sessioni, della durata di 60 minuti, consistevano in osservazioni, condotte da dietro uno specchio unidirezionale e audioregistrate, delle interazioni linguistiche del genitore nei confronti del figlio in una situazione di background television per una mezz’ora e di televisione spenta nell’altra mezz’ora.
Il genitore era invitato a comportarsi come nel contesto casalingo, poteva quindi leggere, giocare con il figlio, o guardare un programma a scelta tra undici disponibili, di diverso genere.
I video sono stati poi codificati sulla base di quattro variabili linguistiche:
- due relative ad aspetti quantitativi del linguaggio (numero di parole al minuto e numero di frasi al minuto);
- due relative ad aspetti qualitativi cioè alle sue caratteristiche (numero di nuove o differenti parole al minuto e lunghezza media della frase).
Come era stato ipotizzato, i risultati riportano che i bambini non sono attratti dalla televisione in sottofondo (hanno volto lo sguardo alla tv solo nel 5% dei casi), ma che la condizione background television riduce significativamente il numero di parole, di frasi e di parole nuove al minuto dei genitori, mentre non ha effetto sulla lunghezza media dell’enunciato e quindi sulla sua complessità sintattica. Gli autori spiegano quest’ultimo risultato con il fatto che, quando il bambino riesce a catturare l’attenzione dell’adulto, quest’ultimo gli risponde come farebbe normalmente.
Questa situazione potrebbe essere particolarmente dannosa per lo sviluppo del linguaggio se si considerano anche i dati di Lapierre, Piotrowski & Linebarger (2012) secondo cui i bambini americani tra gli 8 e i 24 mesi sono esposti in media a 5 ore e mezza di background television al giorno e a 4 ore e mezza tra i 2 e i 4 anni, vale a dire per una larga parte delle ore in cui sono svegli (è da notare però che in media i bambini americani guardano più televisione rispetto ai bambini europei).
In conclusione, tenere accesa la televisione in sottofondo per diverse ore al giorno può essere un fattore di rischio per lo sviluppo linguistico dei bambini soprattutto in un’età in cui l’input ambientale e l’interazione sono fondamentali per questo processo; ciò è spiegato dal fatto che questa condizione influisce negativamente sull’impegno e sull’attenzione che il genitore pone nell’interazione, essendo le sue risorse catturate volontariamente o involontariamente da uno stimolo esterno.
