Oggi tenteremo di affrontare due temi sensibili e piuttosto comuni nella società odierna che creano problemi all’infanzia all’età adulta. Tali temi sono il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD) e l’abuso di sostanze.
Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività è un disturbo del neurosviluppo che colpisce tra il 2.6 e il 4.5 % dei giovani di tutto il mondo. L’ADHD è caratterizzata da difficoltà a mantenere l’attenzione, disorganizzazione, eccessiva attività motoria, estrema irrequietezza, loquacità, e tali elementi risultano interferire con il funzionamento o con lo sviluppo dell’individuo. Il disturbo generalmente si ravvisa a partire dall’infanzia e si manifesta prima dei 12 anni di età; l’ADHD, prefigurandosi come disturbo del neurosviluppo, è un quadro clinico che permane, a varie intensità, per l’intero arco di vita del soggetto, cambiando le proprie manifestazioni in base alla finestra evolutiva considerata.
Tendenzialmente in età adulta i sintomi dell’iperattività diventano meno evidenti ma persistono difficoltà legate a irrequietezza, disattenzione, scarsa pianificazione e impulsività. I bambini con ADHD sono significativamente più portati, rispetto ai coetanei senza tale disturbo, ad avere disturbi da uso di sostanze, disturbo della condotta, disturbo antisociale, unitamente ad un’aumentata probabilità di andare in carcere. Inoltre diverse ricerche scientifiche mostrano come i disturbi da uso di sostanze contribuiscano ad incrementare i tassi di mortalità nell’ADHD e i due disturbi sono spesso associati poiché sembrano condividere basi genetiche comuni.
Nel 2017 Quinn e colleghi hanno ideato uno studio per comprendere l’associazione tra il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività e il disturbo da uso di sostanze, in particolare hanno tentato di comprendere se l’utilizzo di farmaci nel trattamento dell’ADHD sia correlato positivamente o negativamente con l’uso di sostanze.
I farmaci psicostimolanti sono efficaci nel ridurre i sintomi dell’ADHD e sono considerati il trattamento di prima scelta per bambini, adolescenti e adulti. Alcuni studi hanno mostrato come l’utilizzo di tali farmaci possa incrementare il rischio di problemi collegati alle sostanze, d’altro canto altri lavori clinici non hanno riscontrato un incremento di tale rischio ed altri ancora hanno riscontrato una riduzione del rischio di abuso di sostanze. È evidente che il dibattito scientifico su questo tema rimanga aperto e da chiarire ed è necessario interrogarsi sulla generalizzabilità e sulle conseguenze etiche del somministrare, o alternativamente non somministrare, un trattamento efficace.
Nello studio sopracitato (Quinn et al., 2017) gli autori hanno analizzato i dati di numerosi studi sul tema e sono giunti alla conclusione che i periodi in cui venivano somministrati i farmaci ai pazienti con ADHD erano generalmente correlati ad un ridotto rischio di abuso di sostanze. Tale associazione negativa è risultata più significativa nei maschi che nelle femmine. Inoltre lo studio ha rilevato un minor rischio di incorrere in infortuni, incidenti stradali, comportamenti criminali, depressione e suicidio.
Per concludere, questi dati, ovviamente, non vanno interpretati come favorevoli all’utilizzo dei farmaci dell’ADHD nel trattamento di problemi relativi alle sostanze. Questo disturbo infatti, consistendo in un quadro clinico complesso trae maggior benefici da una modalità di intervento multimodale, in grado di integrare trattamenti farmacologici e psicologici. Tuttavia il dibattito rimane aperto, sicuramente dalla letteratura scientifica emerge l’importanza di somministrare un trattamento adeguato per tale disturbo, rispetto al quale c’è ancora molta disinformazione. A riguardo la ricerca scientifica è in continuo movimento, ma è auspicabile un incremento delle conoscenze anche da parte dei genitori, insegnanti e delle figure di riferimento rispetto a questo disturbo tanto comune quanto sottovalutato.
