Buongiorno a tutti! Oggi focalizziamo l’attenzione su una figura importante e coinvolta quanto la mamma nel periodo perinatale: il papà.
Diventare genitore comporta eccitazione, gioia, ma anche cambiamenti che possono minare l’equilibrio esistente. Diversi studi dimostrano infatti come entrare nella nuova condizione di padre abbia un effetto positivo e protettivo a lungo termine sulla salute dell’uomo (Eggebeen e colleghi, 2013); vengono tuttavia rilevate anche significative percentuali di problematiche legate alla salute mentale paterna durante il periodo perinatale (Philpott e colleghi, 2017).
Per molto tempo la ricerca ha messo in luce particolare attenzione nei confronti della depressione perinatale paterna, ponendo in secondo piano l’ansia. Wynter e colleghi (2013) hanno però dimostrato che l’ansia è più comune della depressione nei padri durante i primi sei mesi dopo il parto, con una prevalenza di ansia riportata al 17,4% rispetto al 4,1% di depressione.
Evidenze dimostrano come l’ansia perinatale sia associata a bassi livelli di autoefficacia genitoriale (Pinto e colleghi, 2016), aumento della fatica (Tzeng e colleghi, 2009), alterazioni nelle interazioni paterno/infantili (Vreeswijk e colleghi, 2014) e aumento di stress (Prino e colleghi, 2016).
A questo proposito è utile fare chiarezza sui termini “ansia” e “disturbi d’ansia” che erroneamente vengono usati indistintamente: la maggior parte dei padri sperimenta livelli di ansia subclinica, che non prevedono una diagnosi di malattia (Matthey e Ross-Hamid, 2012). Le risposte di ansia del padre sono infatti generalmente di natura transitoria e adattativa (Aguis e colleghi 2016), ma possono tuttavia compromettere la qualità della vita di un padre e il suo funzionamento (Haller et colleghi, 2014).
A causa dei potenziali effetti negativi che l’ansia può avere sui padri nel periodo perinatale è importante determinarne la prevalenza e i livelli, identificare i fattori di rischio che contribuiscono a causarne l’insorgenza, verificare l’impatto che essa può avere sulla salute e sulle relazioni sociali e stabilire se ci siano interventi efficaci in grado di ridurla. Philpott e colleghi (2019) hanno svolto una revisione di 34 studi che si sono concentrati proprio su questi aspetti.
I padri provano livelli di ansia che tendono ad aumentare nel periodo prenatale e culmina nel momento della nascita, diminuendo progressivamente nella fase postnatale. Questi dati vengono spiegati dai padri stessi che riferiscono di sentirsi figure ambivalenti rispetto alla gravidanza delle loro partner: è soprattutto nel terzo trimestre che l’ansia aumenta, quando la realtà della paternità diventa più tangibile e gli uomini modificano il loro livello di attenzione nei confronti della preparazione alla nascita del loro bambino (Johansson e colleghi, 2015). Questo cambiamento può suscitare sentimenti negativi relativi a preoccupazioni per la salute e la vita del bambino e della partner. Durante questa fase i padri sperimentano anche ansia rispetto alle proprie capacità di far fronte al travaglio e al processo di nascita, ansia che è ulteriormente aggravata dal momento che i padri si impegnano per sapere cosa fare e come aiutare la propria partner (Darwin e colleghi, 2017). L’ansia diminuisce dopo la nascita e nella successiva fase postnatale in quanto prevalgono sollievo e felicità e il genitore sperimenta finalmente la realtà della paternità (Erlandsson e Lindgren, 2009; Longworth e Kingdon, 2011; Johansson e colleghi, 2013).
È interessante notare come nei paesi che hanno politiche di congedo di paternità generose come il Portogallo (20 giorni) i padri manifestino tassi di prevalenza di ansia più bassi rispetto a coloro che vivono in paesi come Taiwan e Grecia dove i congedi non sono previsti o sono di limitata durata.
I fattori che, secondo gli studi, contribuiscono all’insorgenza dell’ansia sono alti livelli di stress, bassi livelli di istruzione e di reddito, minore sostegno alla co-genitorialità (i padri che riferiscono un maggiore sostegno genitoriale da parte della propria partner si percepiscono come più capaci di eseguire compiti genitoriali (Pinto et al., 2016), il che suggerirebbe che il sostegno alla genitorialità è importante per lo sviluppo dell’autosufficienza dei genitori), minore sostegno sociale, conflitto famiglia-lavoro, ansia e depressione di un partner.
La revisione di Philpott e colleghi ha rilevato inoltre che l’ansia ha un impatto negativo sulla salute fisica dei padri e sulle relazioni e capacità genitoriali nel periodo perinatale. Livelli più elevati di ansia portano infatti ad una diminuita attività serotoninergica e all’aumento dei livelli di cortisolo, che ha un chiaro legame con stress e depressione. Livelli di ansia più elevati influiscono anche sui livelli di stanchezza e contribuiscono al manifestarsi di stress, depressione, stanchezza e minore auto-efficacia paterna.
Da questo quadro emerge quindi che l’ansia dei neo-padri ha un impatto negativo sulla loro vita, evidenziando quindi la necessità di interventi efficaci per affrontare il problema, a partire dalla prevenzione. A tale proposito alcuni studi si sono occupati degli interventi che hanno avuto successo nel ridurre l’ansia paterna nel periodo perinatale. I risultati positivi suggeriscono che l’uso di tali strategie può essere quindi opportuno per affrontare la problematica in discussione (Tohotoa e colleghi, 2012), ma si è tuttavia ancora in una fase sperimentale per cui sono necessarie ulteriori ricerche prima che possano essere raccomandate per l’implementazione nella pratica clinica.
